Shirley Jackson, We have always lived in the castle (Abbiamo sempre vissuto nel castello)

Mary Katherine Blackwood sta facendo la spesa in un paese americano non specificato. È una cosa che detesta, si sente come la pedina di un gioco da tavolo in balia dei dadi dei giocatori: è un percorso tortuoso, pieno di ostacoli, si sente osservata, ma la maggior parte delle persone la evita, borbotta alle sue spalle, poi ci sono i pochi che decidono di tormentarla faccia a faccia con battute moleste su di lei, sua sorella e suo zio, che ormai da tempo vivono in semi-isolamento nella casa sulla collina… Che cosa nasconde la famiglia Blackwood? Hanno davvero qualcosa da nascondere? Poco importa perché qualcosa sta per accadere che disturberà definitivamente l’equilibrio precario dell’esistenza dei Blackwood.

Per chi fosse interessato questa opera è edita in italiano da Adelphi con titolo Abbiamo sempre vissuto nel castello. Per quanto riguarda le edizioni in lingua inglese, invece, la Penguin ne ha pubblicate un paio con grafica di copertina davvero accattivante. Personalmente sono soddisfatta di aver investito in quella Penguin Orange Collection dei classici della letteratura americana.


Il più grande difetto di questo libro è tutto paratestuale: la maggior parte delle persone che lo prende in mano legge la sinossi, diminuendo in modo significativo l’effetto di smarrimento che provocherebbero i primi due capitoli se ci si immergesse nel racconto sapendone il meno possibile.

Nel mio piccolo, nella trama che ho tratteggiato all’inizio del post, ho evitato una rivelazione che normalmente si trova nei riassunti su internet e sulle seconde e i retro di copertina.

A proposito di rivelazioni, confesso che, grazie alla lettura di un preciso romanzo di Agatha Christie (che non nominerò per evitare spoiler), la verità palesata alla fine del capitolo 8 di We have always lived in the castle io l’avevo intuita decisamente prima.

Il libro fu originariamente pubblicato nel 1962 ed è un’esplorazione letteraria della nevrosi e dell’ansia e delle ossessioni con cui si manifesta, ma anche una denuncia dell’opinione pubblica, che spesso giudica senza sapere, immaginando e inventando l’oggetto del proprio sdegno, emarginando e temendo il diverso. La Jackson riesce in tutto questo utilizzando al meglio la sua narratrice, pseudo-inaffidabile e sempre a preda di una sorta di incrollabile frenesia.

La scrittura e la caratterizzazione dei personaggi mi hanno ricordato le storie di fantasmi di Henry James. La descrizione delle masse e l’elemento di disturbo, al quale ho accennato in sinossi, mi hanno riportato alla mente alcuni temi della letteratura realistica francese. Nel libro ho trovato anche una lontana eco della Christie, con tutta probabilità esclusivamente per l’illuminazione che le devo all’inizio della lettura.

We have always lived in the castle è un romanzo forse più elaborato di The haunting of Hill House (L’incubo di Hill House), eppure questo ultimo mi colpì maggiormente, forse perché è quello che più mi ricorda lo stile elegante e la narrazione arcana di Henry James.

Lo consiglio anche se, contrariamente a L’incubo di Hill House, in cui tutto sembra sospeso tra fantasia e realtà, Abbiamo sempre vissuto nel castello suona decisamente realistico e potrebbe anche far aggrottare la fronte a chi ha delle conoscenze specifiche su nevrosi e condizioni mentali.

See you soon cybespace cowboy…

Bibliografia:
Shirley Jackson, We have always lived in the castle, New York, Penguin Books, 2016

Commenti

  1. Ce l'ho in WL da anni ormai, penso di essere l'ultima a doverlo leggere :') tra l'altro anche io ho citato questo libro nel mio ultimo post ;)

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    1. Una lettura disturbante, ma veloce. Sinceramente mi aveva colpita di più L'incubo di Hill House, ma anche questo libro ha saputo catturarmi.

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  2. L'ho letto abbastanza recentemente, e mi è piaciuto moltissimo. Apprezzo come la Jackson riusciva a far salire la paranoia nella calma più totale.

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    1. Effettivamente riesce a essere estremamente sinistro e inquietante ricreando un'atmosfera solo apparentemente tranquilla.

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  3. Non lo conoscevo, ma sembra interessante come trama. L'unico dubbio è l'ambientazione americana che non mi entusiasma particolarmente.

    Ho controllato e mi sembra che Lord John di Diana Gabaldon sia edito anche in italiano.

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    1. In realtà è uno di quei libri in cui l'ambientazione pare quasi indefinita, un po' come in alcuni racconti di Henry James.

      Per quanto riguards Lord John, hai ragione. Io ho letto solo i primi tre libri. Il quarto e ultimo mi manca. Se non vado errando il quarto è anche quello condiviso con la più celebre saga de La straniera, ma è comprensibile indipendentemente dalla sua lettura.

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  4. L'ho letto molto tempo fa e ricordo ancora le sensazioni di inquietudine e disturbo che mi aveva lasciato. Merita soprattutto se piacciono autori come King ... tiene bene la tensione 😅

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    1. Riesce a essere molto efficace nella sua brevità, che è una cosa che apprezzo molto nei racconti di tensione e di fantasmi.

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