Letture recenti
Amanda Stevens, The kingdom e The propeht
Di recente ho terminato gli ultimi due volumi pubblicati della serie The graveyard Queen. Quella che doveva essere una trilogia, si trasformerà probabilmente in qualcosa di più ampio: il quarto libro è in lavorazione da un po', ma l'autrice Amanda Stevens, a causa di gravi problemi personali, ha rallentato i ritmi di scrittura, quindi il futuro de La signora dei cimiteri è un po' nebuloso al momento.
Entrambi i romanzi mi sono piaciuti molto per il solito stile di scrittura introspettivo che caratterizza la serie e di cui avevo già accennato nel post in cui parlavo di The restorer, qui.
In The kingdom, la protagonista, Amelia Gray, lascia Charleston per un lavoro di restauro nel cimitero di Asher Falls. Un paese quanto mai isolato e misterioso, fortemente legato a un passato che è stato sepolto, sì in senso figurato, ma anche quasi fisico, visto che parte delle abitazioni e il precedente cimitero pubblico sono stati ricoperti dalle acque anni prima. Qui Amelia conoscerò Thane Asher e il resto della sua famiglia, insieme all'enigmatica Luna Kemper e un carosello di altri personaggi, tutti con dei segreti da nascondere.
Questo è un libro importante nella serie perché Amelia farà finalmente luce sul suo passato che le è stato sempre tenuto nascosto, in parte perché adottata, in parte a causa di due genitori sempre un po' distanti nei suoi confronti. La Stevens sfrutta appieno l'ambientazione in luogo circoscritto, calcando la mano con il soprannaturale: lo stato di isolamento le permette di essere più generosa con le dosi di paranormale e di eventuali fantasmi interiori, senza mai cadere nell'assurdità e strizzando l'occhio alla tradizione. Libri dome Il giro di vite e Il signore delle mosche — senza parlare, poi, della realtà stessa — sono illustri esempi di quello che può succedere a una comunità chiusa e sola. Se Asher Falls vi ricorda qualcosa, probabilmente si tratta del titolo di un racconto di Poe, The fall of the house of Ushers (La caduta della casa degli Usher), di cui The kingdom è, in minima parte, un consapevole omaggio.
The prophet avrebbe dovuto concludere quella che inizialmente era stata concepita come una trilogia, ma già al momento della stesura, le possibilità che la serie si ampliasse dovevano essere nell'aria. Il finale, infatti, è chiuso quanto basta per non far prudere le mani al lettore, ma lascia aperte le possibilità di un seguito.
In questo romanzo Amelia si trova di nuovo a Charleston, dove aveva lasciato John Devlin, con tutti i suoi problemi e i suoi fantasmi. Questo libro segna una svolta importante per la protagonista, che decide di non escludere tutti i fantasmi dalla propria esistenza: se alcuni sono pericolosi perché desiderano ritornare nel mondo dei vivi e, per rimanerci, succhiano la forza vitale degli umani a cui riescono a legarsi, altri hanno bisogno di aiuto per riuscire a entrare nel mondo dei morti, aiuto che solo persone come Amelia possono dare loro. Questo è un romanzo delle rivelazioni, tanti dei segreti riguardanti Devlin e il rapporto con la moglie e la figlia sono finalmente svelati, anche gli altri personaggi, vecchie e nuove conoscenze di Amelia, finiranno per mostrare il loro vero volto.
Robert Nathan, Portrait of Jennie
Questa è stata un po' la lettura rivelazione della pila. Si tratta di un romanzo breve, pubblicato nel 1940, dello scrittore americano Robert Nathan, che concentrò la propria produzione letteraria durante la Depressione e attraverso la Seconda guerra mondiale, un periodo difficile.
Ho amato Portrait of Jennie. Mi è piaciuto talmente tanto che, nonostante sia davvero corto, dopo averlo terminato in poche ore, non sono più riiuscita a leggere alcunché per il resto della giornata!
In breve, è la storia di un artista, Eben Adams, che si trova in un momento particolarmente difficile: è privo di ispirazione. Le cose cambiano quando, mentre passeggia nel parco, incontra Jennie, una bambina che gioca da sola. Da allora ricomincia, piano piano, a disegnare e a dipingere. Ogni volta che si imbatte in Jennie, il corso della sua vita cambia per il meglio, così come trova cambiata la donna, inspiegabilmene più grande, da bambina si trasforma in un'adulta in pochi incontri ravvicinati, e finisce per innamorarsene.
Romanzo caratterizzato da una scrittura lirica, è nostalgico e malinconico, eppure ti lascia anche con una bella sensazione addosso, una volta terminato. La vicenda si svolge su piani temporali diversi, che si confondono e si fondono e, probabilmente, proprio per far credere al lettore che la fusione tra piani temporali sia possibile, Nathan usa alla fine un trucchetto paratestuale (o dal sapore paratestuale.)
Bibliografia e URL:
Sito dell'autrice Amanda Stevens: http://amandastevens.com/
Amanda Stevens, The kingdom, Don Mills, Mira, 2012
Amanda Stevens, The prophet, Don Mills, Mira, 2012
Post in cui scrivo di The restorer: http://www.ludo-ii.blogspot.co.uk/2014/02/le-mie-illusioni-perdute-e-i-libri-del.html
Robert Nathan, Portrait of Jennie, New York, Buccaneer Books, [1981?]
Carolo Dossi, La desinenza in A, Milano, Garzanti, 2009
Pagina dedicata a Carlo Dossi su LiberLiber in cui si può scaricare una versione gratuita, in vari formati, de La desinenza in A: http://www.liberliber.it/libri/d/dossi/index.php
Entrambi i romanzi mi sono piaciuti molto per il solito stile di scrittura introspettivo che caratterizza la serie e di cui avevo già accennato nel post in cui parlavo di The restorer, qui.
In The kingdom, la protagonista, Amelia Gray, lascia Charleston per un lavoro di restauro nel cimitero di Asher Falls. Un paese quanto mai isolato e misterioso, fortemente legato a un passato che è stato sepolto, sì in senso figurato, ma anche quasi fisico, visto che parte delle abitazioni e il precedente cimitero pubblico sono stati ricoperti dalle acque anni prima. Qui Amelia conoscerò Thane Asher e il resto della sua famiglia, insieme all'enigmatica Luna Kemper e un carosello di altri personaggi, tutti con dei segreti da nascondere.
Questo è un libro importante nella serie perché Amelia farà finalmente luce sul suo passato che le è stato sempre tenuto nascosto, in parte perché adottata, in parte a causa di due genitori sempre un po' distanti nei suoi confronti. La Stevens sfrutta appieno l'ambientazione in luogo circoscritto, calcando la mano con il soprannaturale: lo stato di isolamento le permette di essere più generosa con le dosi di paranormale e di eventuali fantasmi interiori, senza mai cadere nell'assurdità e strizzando l'occhio alla tradizione. Libri dome Il giro di vite e Il signore delle mosche — senza parlare, poi, della realtà stessa — sono illustri esempi di quello che può succedere a una comunità chiusa e sola. Se Asher Falls vi ricorda qualcosa, probabilmente si tratta del titolo di un racconto di Poe, The fall of the house of Ushers (La caduta della casa degli Usher), di cui The kingdom è, in minima parte, un consapevole omaggio.
The prophet avrebbe dovuto concludere quella che inizialmente era stata concepita come una trilogia, ma già al momento della stesura, le possibilità che la serie si ampliasse dovevano essere nell'aria. Il finale, infatti, è chiuso quanto basta per non far prudere le mani al lettore, ma lascia aperte le possibilità di un seguito.
In questo romanzo Amelia si trova di nuovo a Charleston, dove aveva lasciato John Devlin, con tutti i suoi problemi e i suoi fantasmi. Questo libro segna una svolta importante per la protagonista, che decide di non escludere tutti i fantasmi dalla propria esistenza: se alcuni sono pericolosi perché desiderano ritornare nel mondo dei vivi e, per rimanerci, succhiano la forza vitale degli umani a cui riescono a legarsi, altri hanno bisogno di aiuto per riuscire a entrare nel mondo dei morti, aiuto che solo persone come Amelia possono dare loro. Questo è un romanzo delle rivelazioni, tanti dei segreti riguardanti Devlin e il rapporto con la moglie e la figlia sono finalmente svelati, anche gli altri personaggi, vecchie e nuove conoscenze di Amelia, finiranno per mostrare il loro vero volto.
Robert Nathan, Portrait of Jennie
Questa è stata un po' la lettura rivelazione della pila. Si tratta di un romanzo breve, pubblicato nel 1940, dello scrittore americano Robert Nathan, che concentrò la propria produzione letteraria durante la Depressione e attraverso la Seconda guerra mondiale, un periodo difficile.
Ho amato Portrait of Jennie. Mi è piaciuto talmente tanto che, nonostante sia davvero corto, dopo averlo terminato in poche ore, non sono più riiuscita a leggere alcunché per il resto della giornata!
In breve, è la storia di un artista, Eben Adams, che si trova in un momento particolarmente difficile: è privo di ispirazione. Le cose cambiano quando, mentre passeggia nel parco, incontra Jennie, una bambina che gioca da sola. Da allora ricomincia, piano piano, a disegnare e a dipingere. Ogni volta che si imbatte in Jennie, il corso della sua vita cambia per il meglio, così come trova cambiata la donna, inspiegabilmene più grande, da bambina si trasforma in un'adulta in pochi incontri ravvicinati, e finisce per innamorarsene.
Romanzo caratterizzato da una scrittura lirica, è nostalgico e malinconico, eppure ti lascia anche con una bella sensazione addosso, una volta terminato. La vicenda si svolge su piani temporali diversi, che si confondono e si fondono e, probabilmente, proprio per far credere al lettore che la fusione tra piani temporali sia possibile, Nathan usa alla fine un trucchetto paratestuale (o dal sapore paratestuale.)
Where I come from
Nobody knows;
And where I'm going
Everything goes.
The wind blows
The sea flows—
And nobody knows.
A parte scrivere questa citazione, che è una poesia chiave per tutto il romanzo, non mi sento di aggiungere altro per quanto riguarda la trama perché è davvero corto.
Da questo libro fu tratto un film, con titolo omonimo, nel 1948. Il produttore era David O. Selznick, lo stesso di Via col vento, che rimase talmente colpito dalla storia di Nathan da volerla assolutamente importare su pellicola. Come protagonista femminile scelse l'attrice premio Oscar Jennifer Jones, di cui era innamorato e che avrebbe di lì a poco sposato. La pellicola cinematografica è piuttosto diversa dal romanzo. Rimane, però, un film estremamente piacevole e con dei bellissimi dialoghi riadattati abilmente dai discorsi indiretti del libro.
Carlo Dossi, La desinenza in A
Ho un debole per la letteratura itliana post-unitaria o del secondo Ottocento, per non usare etichette e definizioni troppo nette.
La desinenza in A di Carlo Dossi, pubblicato nel 1878, è un esempio piuttosto particolare di narrativa italiana. Concepito inizialmente come un romanzo, Dossi si rese presto conto di non essere in grado di scrivere qualcosa di così strutturalmente complesso e La desinenza in A si trasformò in una raccolta di scenette o di «ritratti donneschi», come lui stesso li definì.
Dossi non è un narratore eccezionalmente dotato, ma, se nei racconti riesce per lo meno a narrare una storia, in questo libro, nato storto, l'incoerenza narrativa regna sovrana. Per me rimane, tuttavia, una perla perché introduce in quegli ambienti milanesi e salotti altolocati che di solito non si incontrano nella letteratura italiana che si studia a scuola. Allo stesso tempo, ci vengono concesse delle sbirciatine all'ambiente urbano dell'epoca e scopriamo caratteristiche della città, di Milano in particolare, che probabilmente ormai nessuno si ricorda più.
La lettura mi ha, quindi, ampiamente ripagata, nonostante la scarsa originalità e i personaggi stereotipati e a prescindere dall'acidità — che sfiora la misoginia — con cui è descritta la figura della donna, che temevo mi avrebbe scoraggiata, ma che, invece, non mi è pesata durante la lettura.
Dossi è, poi, bravissimo a usare la lingua italiana della nuova nazione, pur senza rinunciare ai vocaboli di propria invenzione e all'utilizzo delle espressioni dialettali o regionali per dare colore e sapore alla narrazione (e, anche qui, il libro è una sorta di forziere contenente tesori perduti.)
Forse questo libro può essere considerato grande, nonostante i suoi difetti, per la stilistica e la prosodia: la prosa squisitamente letteraria del Dossi rimane un po' un unicum nella letteratura italiana e, per quanto si trasformi fin troppo spesso in puro esercizio di stile, colpisce anche alla prima scorsa, per cui è impossibile non intuire, quantomeno, la complessità della struttura dei periodi.
Carlo Dossi, La desinenza in A
Ho un debole per la letteratura itliana post-unitaria o del secondo Ottocento, per non usare etichette e definizioni troppo nette.
La desinenza in A di Carlo Dossi, pubblicato nel 1878, è un esempio piuttosto particolare di narrativa italiana. Concepito inizialmente come un romanzo, Dossi si rese presto conto di non essere in grado di scrivere qualcosa di così strutturalmente complesso e La desinenza in A si trasformò in una raccolta di scenette o di «ritratti donneschi», come lui stesso li definì.
Dossi non è un narratore eccezionalmente dotato, ma, se nei racconti riesce per lo meno a narrare una storia, in questo libro, nato storto, l'incoerenza narrativa regna sovrana. Per me rimane, tuttavia, una perla perché introduce in quegli ambienti milanesi e salotti altolocati che di solito non si incontrano nella letteratura italiana che si studia a scuola. Allo stesso tempo, ci vengono concesse delle sbirciatine all'ambiente urbano dell'epoca e scopriamo caratteristiche della città, di Milano in particolare, che probabilmente ormai nessuno si ricorda più.
La lettura mi ha, quindi, ampiamente ripagata, nonostante la scarsa originalità e i personaggi stereotipati e a prescindere dall'acidità — che sfiora la misoginia — con cui è descritta la figura della donna, che temevo mi avrebbe scoraggiata, ma che, invece, non mi è pesata durante la lettura.
Dossi è, poi, bravissimo a usare la lingua italiana della nuova nazione, pur senza rinunciare ai vocaboli di propria invenzione e all'utilizzo delle espressioni dialettali o regionali per dare colore e sapore alla narrazione (e, anche qui, il libro è una sorta di forziere contenente tesori perduti.)
Forse questo libro può essere considerato grande, nonostante i suoi difetti, per la stilistica e la prosodia: la prosa squisitamente letteraria del Dossi rimane un po' un unicum nella letteratura italiana e, per quanto si trasformi fin troppo spesso in puro esercizio di stile, colpisce anche alla prima scorsa, per cui è impossibile non intuire, quantomeno, la complessità della struttura dei periodi.
Bibliografia e URL:
Sito dell'autrice Amanda Stevens: http://amandastevens.com/
Amanda Stevens, The kingdom, Don Mills, Mira, 2012
Amanda Stevens, The prophet, Don Mills, Mira, 2012
Post in cui scrivo di The restorer: http://www.ludo-ii.blogspot.co.uk/2014/02/le-mie-illusioni-perdute-e-i-libri-del.html
Robert Nathan, Portrait of Jennie, New York, Buccaneer Books, [1981?]
Carolo Dossi, La desinenza in A, Milano, Garzanti, 2009
Pagina dedicata a Carlo Dossi su LiberLiber in cui si può scaricare una versione gratuita, in vari formati, de La desinenza in A: http://www.liberliber.it/libri/d/dossi/index.php
Che bei libri, complimenti! Avevo già messo The Restorer in wishlist dopo aver letto il tuo precedente post, ora mi sa che ci finisce anche Portrait of Jennie...
RispondiEliminaPer quanto riguarda The graveyard queen c'è uno spin off in e-book, The abandoned, con protagonisti principali diversi. Non l'ho letto, ma ho sentito che dà una buona idea delle atmosfere che si possono trovare e del modo di scrivere della Stevens.
RispondiEliminaOvviamente si tratta di una novella, non di un romanzo. Mi ero dimenticata di scriverlo.
RispondiEliminaLa cosa che mi incuriosice di questo "Portrait of Jennie" è che sia un romanzo breve. Com'è riuscito l'autore a raccontare una storia del genere in poche pagine?
RispondiEliminaPS: Per caso di Dossi hai mai letto "L'altrieri"?
@Obsidian M Portrait of Jennie è davvero un bel romanzo breve e, probabilmente, se l'autore l'avesse dilatato non sortirebbe lo stesso effeto di perfetta essenzialità.
RispondiEliminaNon ho letto L'altrieri di Dossi, quindi ti ringrazio per la segnalazione. Ho già provveduto a scaricarlo da LiberLiber.